TED BUNDYFASCINO CRIMINALE

Questa è la quinta volta che il serial killer più celebre della storia (l’assassino delle studentesse) diventa un film: prima, negli anni ’80, Ted Bundy ha avuto la faccia di Mark Harmon (poi divenuto il viso simbolo di NCIS –Unità anticrimine), protagonista de Il mostro. Poi, qualche anno dopo, è arrivato sul grande schermo: prima nel 2002 (Ted Bundy), quindi nel 2003 (Ted Bundy – Il serial killer) e infine nel 2008 (Bundy: an american icon). E in tutte queste pellicole veniva descritto nel dettaglio il modus operandi del killer: approccio con le vittime, prigionia, tortura, uccisione…

   Ma questa volta no. In Ted Bundy – Fascino Criminale il regista Joe Berlinger ha voluto fare qualcosa di diverso. Il film comincia dal momento in cui l’assassino ha già commesso quasi tutti i suoi crimini e sta cercando, apparentemente, una sorta di “redenzione”: incontra una ragazza e, per la prima volta, non prova il desiderio di ucciderla: anzi, sembra addirittura innamorarsene… Chi guarda i primi venti minuti del film ha davvero l’impressione che Bundy abbia trovato un suo equilibrio: non si vedono omicidi (e non si vedranno nemmeno in seguito, se non attraverso le poche fotografie incriminatorie), non si vedono donne torturate e violentate.

   Ma in realtà si tratta solo di una “finta redenzione”, anzi di una vera e propria recita, l’ultima strategia inscenata dal killer della simulazione per soggiogare psicologicamente una ragazza ingenua (e illusa di essere amata) e usare il loro rapporto come scudo per difendersi dalle accuse, che ormai gli stanno piovendo addosso da ogni angolo degli States.

   La Polizia, gli investigatori (e gli avvocati) stanno orami facendo irruzione nella sua vita, da ogni parte, come l’acqua che penetra da ogni fessura di una nave che affonda. Bundy ha tempo per compiere gli ultimi, disperati omicidi, violenti quanto immotivati e frenetici, durante i pochi giorni di latitanza in seguito a due evasioni dal carcere. Ma il nodo lo stringe sempre di più alla gola, così come il processo che ormai incombe, e che lo vedrà, ancora una volta, protagonista, egocentrico personaggio di una finale annunciato ma controverso.

   Credo siano due gli obiettivi (direi raggiunti) che il regista si è prefissato girando questo film: il primo è descrivere fino a che punto può arrivare, quanto a lungo ha potuto resistere (usando il proprio straripante carisma, il fascino criminale appunto) la personalità disturbata e sociopatica di quest’uomo.  Il secondo (anche più inquietante) è mostrare quale potere mediatico sia riuscito ad ottenere (negli anni ’80, ma la cosa vale anche oggi) l’ego istrionico di Bundy, un abilissimo criminale-attore (nonché vero avvocato di se stesso) che riesce a conquistare (quasi a convincere…) e a far innamorare di sé centinaia di persone (uomini e donne), che giungono fino al punto di idolatrarlo e crederlo davvero un perseguitato dalla giustizia.

   Un motivo in più per guardare questo film: l’interpretazione (breve ma ispirata) del giudice da parte del leggendario John Malkovich, unica vera star nel cast di questo film.

   Voto al film: 8.